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Quest’anno pochi buoni propositi. Non che mi manchi la creatività ma ho pensato che fosse ora di rivoluzionare il mio approccio nei confronti del futuro: più flessibilità e meno scadenze emotive. Credo che sia fondamentale come coccola mentale dopo questi anni nei quali abbiamo, chi più o chi meno, perso le proprie coordinate relazionali, lavorative e, soprattutto, individuali. Si è passati dalla ricerca di un traguardo, di un obiettivo, alla presa di coscienza che, talvolta, non tutto è sotto la nostra diretta azione: è bene dunque imparare a focalizzarsi su qualcosa di più duraturo, più profondo, più…nostro.

Così, prima di volgere lo sguardo al nuovo anno e ai mesi che arriveranno, mi sono chiesta cosa poter cogliere di quello che è appena passato, farlo mio e renderlo operativo. Una delle caratteristiche di questo periodo (lungo, a dir la verità, dato che non si contano più i singoli anni, ma la durata stessa della pandemia…) é che ho potuto rimettermi in gioco nel lavoro di gruppo.

Sebbene provenga da una precedente esperienza di collaborazione in team di professionisti sanitari (reparto di neuropsichiatria infantile) nel quale la interdisciplinarietà, l’interdipendenza e la qualità della comunicazione sono strettamente collegati alla buona riuscita del contratto relazionale con le persone che si affidano ai professionisti, negli anni successivi sono tornata ad una -per così dire- mera dimensione autonoma e…solitaria. Per quanto le nostre risorse possano fare di noi delle persone adeguatamente inserite nel tessuto sociale è pur vero che si soffre sempre un poco del confronto costante e del continuo adattamento al piccolo sistema al quale si appartiene, nel quale la possibilità di crescita si fa pane quotidiano, ponendoci sfide sempre più succulente e gratificanti non solo a livello individuale ma soprattutto collettivo.

Quest’anno dunque ho pensato che due fossero le parole chiave in grado di dare colore alle mie giornate, frutto di una profonda riflessione professionale e personale.

La prima è connessione. Al di là della connotazione che ognuno di noi può dare secondo la propria visione personale del mondo e delle dinamiche relazionali, intendo come connessione quella sensazione -difficilmente descrivibile in termini operativi- che ci fa esclamare “Sì, questo è il posto per me” o “Credo che vorrei fortemente entrare in contatto con questa persona”. Tale senso di appartenenza è il frutto di una corrispondenza in termini di valori e visioni con il -o la- professionista con la quale ci ritroviamo a lavorare e collaborare al fine di ottenere insieme un obiettivo, un risultato o, in taluni casi, un semplice scambio onesto di idee.

Questo sentimento, per i più facilmente riconducibile al termine feeling, dal verbo to feel, sentire in maniera profondamente emotiva, è anche quello che permette nei gruppi la costruzione di senso.

“Spesso la paura al lavoro e la paura del lavoro sono causate dall’attaccamento ai propri risultati professionali e portano a rischiare tutto su una sola carta. […] L’antidoto consapevole alla tirannia della paura è lavorare senza curarsi delle ricompense, fare solo del proprio meglio, godendosi il viaggio lavorativo, senza pensare alla meta. Possiamo accettare qualsiasi cosa succeda dopo immergendoci completamente su qualsiasi cosa succeda ora”. La saggezza collettiva del gruppo è quindi data dalla presenza mentale e dal senso di sicurezza che l’individuo può sperimentare liberamente (Wolff, 2001) perché vede nel team un posto sicuro nel quale fare esperienza di coordinazione emotiva (Goleman, 2013) (liberamente tratto da A. Pontis, Psicologia Positiva: Teorie e best practices per il benessere psicologico, 2021, Ebookecm.it)

La seconda è collaborazione, non solo come compagna alla pari della parola connessione, ma come moto ad agire. Spesso infatti ci ritroviamo a sentire le stesse cose, a provare le stesse emozioni, a sperimentare quel senso di unità tipico di chi condivide una stessa visione o una stessa filosofia di vita senza però tradurre tale sentimento in un’azione finalizzata alla concretezza, alla crescita reciproca. E’ nella collaborazione che si valorizzano dunque le singolarità di ognuno, le unicità di ognuno, non in termini esclusivi, ma inclusivi: ogni persona si esprime attraverso l’Altro in un moto perpetuo compensativo e ascendente. L’uno, il gruppo, l’insieme, quel Noi che si crea dall’unione del sentire comune (la connessione) e il desiderio di agire per uno scopo preciso e democratico (la collaborazione) prende il posto dell’individualità spinta, dell’egocentrismo di una società della performance e del successo a tutti i costi, della prevaricazione a discapito l’uno dell’altro, della disparità in termini e di fatto.

E’ da questo circolo virtuoso che ogni persona può fiorire (flourishing, prosperare) nel costante rispecchiamento dei propri valori in una visione comune e condivisa anche dalle persone con le quali collabora o dai professionisti con i quali costruisce nuovi processi.

Felicità, flusso, significato, amore, gratitudine, realizzazione, crescita, rapporti migliori costituiscono il flourishing dell’uomo, il suo fiorire.

Apprendere che si possono avere più cose come queste è un’esperienza che cambia la vita.

Intravedere un futuro florido per l’umanità è un’esperienza che cambia la vita.

Martin E. P. Seligman

Quali saranno le vostre parole che guideranno le vostre azioni nel 2023?

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