Errore sul database di WordPress: [Table 'diariodi56021.wp_bmc_widget_plugin' doesn't exist]
SELECT *FROM wp_bmc_widget_plugin ORDER BY id ASC LIMIT 1

Fai almeno una volta al giorno una cosa che ti spaventi.
(Eleanor Roosevelt)

Salivo le scale con lentezza. La gamba sinistra trascinava a stento la sua sorella destra sopra il gradino di marmo chiazzato; poi la gamba destra richiamava l’altra in un valzer lentissimo e goffo verso il secondo piano. Guardavo la parete bianca alla fine della scala, sulla quale si rifletteva la luce della stanza, come un bersaglio al quale miravano i miei occhi.

“Sono più forte del dolore”, mi ripetevo, “Sono più forte del dolore”.

Avevo paura e, nel momento stesso in cui lo ammettevo, facevo in tempo a respingerlo e a usare quella paura per portare l’ altra gamba in alto, in un movimento al di sopra del ginocchio.

“Sono più forte”, continuavo a dire, “Sono più forte”, e il mio mantra risuonava nelle stanze della mia mente.

Ci sono paure che ti bloccano, paure che ti paralizzano, paure che ti spiazzano; la forma è sempre diversa, ma il contenuto non cambia. Abbiamo paura di avere paura e il suono della sua eco si amplifica sino ad annullare la nostra voce, quella voce interiore che tiene accesa la fiammella della speranza.

La paura é l’emozione ancestrale dell’ essere umano, la più intima, la più profonda, la più distruttiva: le ideologie ne hanno  fatto un baluardo, una corazza nei momenti di crisi, giustificando a sé e al mondo gli atti di vigliaccheria e inquietudine.

Ho avuto paura di morire, paura di non muovermi più, paura di non avere più la mia felicità; poi ci sono stati momenti in cui ha preso il sopravvento e voleva sconfiggermi fisicamente.

Solo quando ammetti di aver paura, quando la senti camminare sullo stomaco, quando ammetti di sentirla che soffia tra i capelli, l’hai dominata. “Sono più forte” è la torre sulla quale la paura non può arrampicarsi, la torre dalla quale osservi la tua situazione e tiri le briglia verso di te.

Ci sono arrivata in cima a quelle scale, sai. Con lentezza, ma ci sono arrivata.

Mia madre dice sempre (e non mi sentirò come Forrest Gump iniziando la frase in questo modo) che “le cose si fanno bene o non si fanno”, e anche le paure le ho affrontate così, con calma. Non sono mai stata una favorevole alle terapie d’ urto perché generano più problemi di quanti ne dovrebbero guarire.

Mi ricordo un giorno d’estate quando, approdati in una spiaggia che non avevo mai conosciuto in ventinove anni di vita, ho deciso che avrei superato anche un’ altra paura, forse più lieve, forse più banale rispetto a quelle che avevo provato per quasi un anno, paure più letali, più angoscianti; eppure, quando si ha terrore, in quel momento non esiste nient’ altro e poco importa se siamo stati peggio in passato, non riusciamo a pensare a granché quando siamo presi dal panico. Ma dicevo, appunto, che un giorno d ‘estate mi trovavo in un angolo di paradiso della mia Cagliari, un ritaglio di turchese e rocce che chissà quale dio aveva creato in un giorno perfetto, mi era venuta voglia di superarne un’ altra, di paura: quella dell’ acqua alta.

Allora, signori e signore, una psicologa avrà pure i suoi difetti e le sue debolezze e la paura dell’ acqua era, dicevo, una di queste. Avevo timore di sentire le alghe strusciarsi nelle mie caviglie e scambiarle per qualche moderno Cthulhu che riprendeva vita risvegliato dalle mia bracciate inesperte, infastidito dai miei mugolii di freddo; temevo che sarei entrata in panico e avrei cominciato ad imbarcare acqua, atteggiandomi ad un Titanic in carne, ossa e molta fifa.

Come in altri momenti, però, avevo il mio guru personale, il mio compagno. Tutti, tutte dovremmo avere un guru, qualcuno al quale essere grati a fine giornata, un esempio da ringraziare via Whazzup, qualcuno che creda in noi più di quanto possa fare un intero fans club…Beh, io avevo lui che, nuotatore esperto (e anche un pò invidiato dalla sottoscritta per quel suo modo di nuotare spensierato sino a lidi sconosciuti) mi rassicurava del fatto che “ce l’avrei fatta”.

Bene, grazie, ne ero consapevole. Ora mi serviva il come, non solo il cosa.

Come fare a superare una paura?

Concentrandosi.
Concentrandosi sul punto lontano al quale aspirare, al quale tendere il braccio e indicare con la punta del dito. Lì, voglio arrivare lì. Lì dove sta la parete bianca in cima alle scale, lì dove sta il turchese più turchese, più profondo degli occhi dell’ uomo che amo e meno rassicurante di quanto possa fare lui, eppure così misterioso e dannatamente affascinante. Lì dove stringo la mano alle mie paure e dico “Sì, ce l’ho fatta”.

Ora ho gli strumenti e la conoscenza per farlo ed un profonda autoconsapevolezza che mi porta costantemente a parlarci, con questi demoni, ad ammansirli, ad addomesticarli, a farci i conti quando li tengo a digiuno e, se fosse così semplice, alla fine di questo articolo, forse, staresti meglio.

Ma ti dirò due cose che hanno rassicurato anche me e hanno alleggerito la mia anima.

La prima è che aver paura è umano troppo umano.

Concedersi di averne e abbracciare la propria natura di essere umano fallibile e imperfetto è il primo passo per smetterla di reprimere i propri timori e darsi addosso “perché non si è abbastanza forti”.

La seconda è che, spesso, rimuginiamo su pensieri negativi e su risultati catastrofici così non facciamo altro che ingigantire la situazione, prevedendo uno scenario apocalittico, lasciando che la nostra mente navighi in balia delle nostre emozioni.

Puoi avere paura eppure scegliere di non agire secondo quella paura, rimanendo focalizzato sul tuo obiettivo; un obiettivo piccolo, misurabile, concreto e, soprattutto, condiviso.

Parlane con chi ami, ammetti di voler raggiungere qualcosa, dichiara di voler coronare un sogno, condividi il più possibile ciò che vorresti superare: più ne parli, più ciò che desideri ti sembrerà realizzabile (e le paure ad esso connesso saranno proporzionalmente minori).

Guarda il tuo obiettivo come io ho guardato quel punto sulla parete bianca: lì volevo arrivare, qui sono arrivata.

Guarda il tuo obiettivo come io ho guardato quel turchese sul mare d’agosto, mentre ripetevo “La voglia di raggiungere la mia felicità è più grande di qualsiasi paura”.

 

Lo scopo è eliminare le nostre reazioni alle emozioni inquietanti, facendo attenzione a non respingere l’emozione stessa. La piena coscienza può cambiare il nostro modo di relazionarci con le nostre emozioni e percepirle, senza necessariamente eliminarle. (T. B. Goleman)

 

Pin It on Pinterest

Share This