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Vorrei fare una bella presentazione, ma so che Roberta è più brava di me con le parole.

Conosco Roberta da alcuni anni e ho seguito, anche se da lontano, il percorso che, piano piano, l’ha portata a diventare scrittrice. Delicata, discreta, ironica, parla di sé con un piglio sbarazzino, impertinente ed esuberante, come la sua età.

Nonostante la battuta sempre pronta, non si lascia intimidire da niente, soprattutto quando comincia a capire che qualcosa non va nella sua vita.

Oggi voglio parlare con lei e di lei, perché mi piacciono le persone dalle quali posso imparare qualcosa, quelle che non hanno timore di raccontare dei momenti difficili e di come si possa essere positivi nonostante tutto.

Ciao Roberta, grazie per aver accettato quest’ intervista…Stavolta la mia introduzione è stata essenziale, ma voglio fare la psicologa sino alla fine…Come ti descriveresti in tre parole?

Ciao Alessandra, grazie a te. Beh, se mi chiedi tre parole mi viene da rispondere sole cuore amore. Scherzi a parte, direi tenace, sognatrice e gattosa (questo ne comprende altri dieci, tra cui pigra e territoriale).

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Tu sai che, oltre al fatto che ti apprezzo come scrittrice emergente, faccio il tifo per te anche perché tu hai scoperto di avere un glaucoma che, lentamente, ti ha reso non vedente…Eppure non hai smesso di portare avanti i tuoi progetti. Quali sono state le emozioni che ti hanno attraversato in tutti questi anni?

Credo che perdere la vista sia stato per me come attraversare le fasi del lutto. A ventun’ anni mi ero appena affacciata alla vita, primo amore, prima vera cricca di amici, primo anno di università, il sogno di diventare un grafico pubblicitario in una qualche agenzia a New York o Tokio… aggiungici che mentre cercavo di fermare la degenerazione dei miei nervi ottici assistevo mia madre che nel giro di un anno ci ha lasciati per un tumore al seno, quindi il lutto c’è stato sul serio e per giunta da parte dell’unico genitore che mi era sempre stato vicino.

Quindi rabbia, tanta, rifiuto, ti direi anche disperazione ma, in quel periodo e per diversi anni, sono stata piena di rabbia verso tutto e tutti. Ho rischiato di perdere le persone importanti della mia vita: persone che oggi, dopo dodici anni, sono ancora qui con me e continuano a essere la mia seconda famiglia. A loro devo tanto e so che se non sono crollata e non crollerò è perché la vita mi ha concesso di avere intorno queste persone, a cui se ne sono aggiunte altre nel corso degli anni.

Ho detto di essere tenace e forse questa tenacia mi ha tenuto a galla quando credevo di affondare; il glaucoma congenito è una bestia maledetta e infida che ti tormenta fin dall’infanzia.

Ti costringe a stare sotto terapia a vita, è un continuo andirivieni per gli ospedali, ti senti un po’ una cavia e la pressione a cui sei sottoposto è enorme, a ogni controllo che non va, la maggior parte a dire il vero, ti senti in colpa verso i tuoi genitori e verso te stesso, ti senti impotente perché per quanti sforzi tu faccia la malattia ha sempre la meglio.

A sedici anni da brava adolescente ribelle ho avuto il rifiuto: ho mollato i farmaci, non me ne pento. A trent’ anni è arrivata una parziale accettazione, parziale perché una cosa del genere non la puoi accettare al 100%.

Mentre terminavo la triennale in lingue mi preparavo anche per il test di ammissione in fisioterapia a Firenze; l’ho passato ed è stata un’altra bella vittoria. Ho dimostrato a me stessa che non ero cambiata dentro, ero sempre la solita testarda che quando punta un obiettivo ci va dritta come un carro armato fino a che non lo raggiunge.

Da qui è iniziata la fase di accettazione.

La scrittura è arrivata poco dopo, quando ho capito che fisioterapia non era la strada giusta per me, non era quello che sentivo di voler fare.

Parlarne ti è stato d’aiuto o ha permesso a qualcun altro di vivere la propria condizione con più naturalezza?

In realtà sono stata io a beneficiare del contatto con altri non vedenti; penso sia naturale quando veniamo trasportati da una condizione definita di normalità a una di, passami il termine, straordinarietà, cercare altre persone che hanno vissuto questo passaggio prima di te. Siamo come quegli animali che fanno branco e vanno a cercare un alfa per capire come sopravvivere. Uno dei primi guru per me è stato Giacomo Deiana, poi sono arrivati i colleghi con cui ho fatto il corso di centralinista alla IERFOP. Con loro ho imparato diverse cose, ma soprattutto mi sono sentita meno sola e fuori dal normale.

Cosa ha significato per te scrivere un libro? C’è qualcosa di te o hai preso ispirazione dalla tua vita per scriverlo?

Se qualcuno mi avesse detto che avrei scritto un libro, un giorno, non gli avrei creduto.

Sono stata sempre una buona lettrice e dopo aver capito che fisioterapia non era la mia strada mi sono messa sotto e ho imparato il mestiere di editor, mestiere in cui sto attualmente continuando a formarmi. Inizialmente ho provato a scrivere per capire meglio le autrici che ho avuto la fortuna di aiutare, sono ora delle care amiche, poi…

Poi la vita mi ha messa davanti all’ennesima prova, bella tosta ovviamente sennò mi sarei annoiata e scrivere è diventato il mio modo di staccare dalla realtà, di creare un mondo in cui sentirmi al sicuro, di buttare fuori quello che avevo dentro.

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Ho ripescato alcuni personaggi che avevo creato da ragazzina per un manga che non ho mai disegnato, ho scelto di ambientare la storia  in Irlanda perché in quell’isola meravigliosa ho vissuto uno dei periodi più sereni degli ultimi anni, e ho riversato nei tre protagonisti tutto ciò che è stata la mia vita, nel bene e nel male.

Ho parlato del non sentirsi accettati a scuola, degli attacchi di panico, delle scelte che hanno portato la mia famiglia a diventare soltanto un ricordo sbiadito, di come sia stato  vivere in un ambiente familiare diverso da quello originario e non esattamente idilliaco, ma anche del non arrendersi nonostante tutto. Alla fine, questa serie di libri è stata il mio modo di dire grazie alle persone che amo, di riconciliarmi con me stessa e con la vita.

Scrivere è stato terapeutico ma soprattutto è stato necessario come respirare. Per quanto il primo libro abbia incontrato e continui a incontrare non poche difficoltà, so che non avrei potuto evitare di scriverlo. Se tornassi indietro lo rifarei, pur sapendo a quanti dispiaceri andrei incontro.

Quali sono, secondo te, le caratteristiche di una persona come te che sceglie di non arrendersi alle difficoltà?

Amare le sfide.

Avere un pizzico di presunzione, nel senso di riconoscersi il proprio valore e qualche volta sopravvalutarsi, anche.

Una frase che mi sento ripetere spesso è: “sei una persona forte” o “altri al tuo posto non ce l’avrebbero fatta”. Credimi se ti dico che dentro di me mi faccio una risata ogni volta che le sento. Non sono una persona forte, sono fragile come chiunque altro, semplicemente quando mi trovo di fronte a una difficoltà mi dico che la affronterò e poi mi dedicherò a fare tutte quelle cose che mi piacciono. Ma anche io ho i miei momenti no, ancheio piango, passo le giornate a letto, la notte dormo male e il giorno ogni tanto sento il panico bussare alla porta. Ho avuto dei periodi nerissimi in cui mi hanno accarezzata pensieri tremendi, ma sono rimasti soltanto pensieri.

Sono ostinatamente attaccata alla vita e a tutto ciò che di bello ha da offrire. E soprattutto so di meritare di essere felice e la felicità me la prendo con le unghie e con i denti. Non è una roba che ti arriva dal cielo, è una scelta.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Tornare in Irlanda, un giorno. Continuare a fare l’editor e a scrivere se avrò qualcosa da raccontare. Prendere un cane guida. Fare un viaggio da sola. Comprare l’auto di Google, quella che puoi guidare anche quando sei sbronzo. Per il resto, amo le sorprese.

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Molto spesso ci sono persone che desiderano avere un consiglio per affrontare i momenti no della vita, dai più piccoli ai più grandi. Oggi vorrei che tu ci potessi dare un consiglio per affrontare la quotidianità con più coraggio…

Essere grati di ciò che si ha. Spesso sottovalutiamo le cose belle che la vita ci regala ogni giorno.

Si tratta solo di imparare a riconoscerle. Prendersi meno sul serio. Aiutare gli altri e non vergognarsi di chiedere aiuto. Accettare quello che la vita ci mette davanti, io mi ripeto spesso. “tutto accade per un motivo”; il più delle volte il motivo mi è oscuro, ma chi sono io per giudicare?

È come quando si comincia a scrivere un libro: tutto ciò che facciamo accadere lo facciamo accadere per un motivo, il più delle volte non sappiamo nemmeno noi perché, fino a quando non arriviamo alla fine. L’happy ending, in ogni caso, è sempre lì a nostra disposizione.

Sta a noi sceglierlo.

Chapeau, Roberta.

Ti invito a seguire la sua storia e la sua narrativa nelle pagine:

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