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Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita.

Confucio

E se non potessi fare il lavoro che ami?

intendiamoci, il mondo del lavoro e la crisi del mercato che ci accompagna da alcuni anni non sempre può permettere di scegliere il lavoro che si ama, con conseguenze evidenti sul piano emotivo e psicologico.

Stress, sindrome di burn out, sintomi di apatia e insoddisfazione che si riflettono anche sulle altre sfere della vita, sono alcune delle conseguenze di un lavoro che, ahimé, scegliamo per procura.

E’ altresì vero che è solo da pochissimi anni che, anche in Italia, si comincia a parlare di felicità sul posto di lavoro, preferendo la soddisfazione personale alla produttività a tutti i costi. La psicologia del lavoro ne aveva già parlato nei manuali per gli addetti ai lavori, ma è dall’ America che arriva la rivoluzione.

Sempre più corsi parlano di happiness at work, forti del fatto che le emozioni, l’autostima e l’autoefficacia del singolo sono misurabili in contesti lavorativi molto più ampi e retificati del panorama italiano, con stratificazioni e strutture più complesse che permettono di analizzare la correlazione tra felicità e produttività molto di più rispetto alle realtà nostrane.

Vuoi che ci portiamo ancora dietro la concezione per la quale maggiore impegno=maggiore guadagno, a discapito delle condizioni nelle quali vertono i dipendenti e gli stessi liberi professionisti, io comincio ad appoggiare la filosofia del lavorare meno, lavorare meglio, dove quel meno sta a significare un’ottimizzazione delle ore, delle energie, delle risorse, seguendo il ritmo emotivo e psicologico del lavoratore.

Da libera professionista, la mia giornata è altamente strutturata e, per alcuni anni, ho ceduto anche io al binomio tante ore=tanto guadagno, senza rendermi conto di essere totalmente ossessionata dalla ricerca continua e spasmodica del contatto giusto, delle strategie più efficaci, senza ascolto attivo.

Cosa mi rende realmente felice?

Neppure la prospettiva di un guadagno alto può rispondere a questa domanda poiché, come ha riportato anche Daniel Goleman nei studi sulla correlazione tra felicità e rientro economico, non vi è una linearità proporzionale tra i bisogni della nostra sfera emotiva e la possibilità di soddisfarli. In poche parole, poter acquistare nuovi abiti, poter soddisfare i nostri bisogni materiali, avere oggetti di lusso o poterci permettere uno stile di vita più dispendioso, non fa di noi dei lavoratori felici e quindi delle persone felici.

Due sono i fattori fondamentali, dunque.

Il primo è avere un senso, sentire (nel senso di Feel, all’inglese) che si sta costruendo qualcosa di utile all’interno della propria azienda o, nel mio caso, constatare che la mia professionalità rende migliore la vita dell’ Altro.

Il secondo è avere delle relazioni umane soddisfacenti, dei rapporti di lavoro che si basino sulla fiducia e sul rispetto sia in verticale che in orizzontale, rendendo il posto di lavoro uno spazio di confronto e di crescita reciproca (lo sanno bene i dipendenti di Zappos che sono abituati a creare stretti rapporti tra colleghi affinchè le responsabilità creative siano uguali per tutti).

Cosa si può fare per migliorare la condizione lavorativa sul posto di lavoro?

Semplice non è necessariamente facile, ma niente è impossibile se sono azioni che si possono mettere in atto a lungo termine e ad ampio raggio, con ricadute significative anche sulle altre dimensioni della vita. Ad esempio…

  • Esercita atti di felicità e gentilezza a caso sul luogo di lavoro. Un atto gentile inaspettato ha una potenza incredibile a livello cerebrale.
  • Assumi persone felici. Tranquilli, persino l’ottimismo si può rendere misurabile (visita il sito AuthenticHappiness.com di Martin Seligman).
  • Evita la negatività. Hai mai notato quanto può essere contagioso il pettegolezzo o, in casi peggiori, il mobbing nei confronti di un dipendente o di un collega?
  • Celebra le vittorie. Non si tratta solo di aumenti in termini economici, ma sviluppare una forte motivazione intrinseca rende il lavoratore più efficace e costruttore di senso condiviso.
  • Dai senso agli errori. Punire per aver commesso un errore non è funzionale. Per volgere al positivo una situazione negativa, è necessario discutere e sviluppare assertività per rendere forza un punto di debolezza.

Io ho cominciato a metterne in atto alcuni. Il più efficace, non solo in termini di soddisfazione lavorativa, è stato quello di praticare atti di gentilezza per un’intera giornata: ho chiesto ai miei followers di scrivermi nel caso in cui avessero avuto una giornata no che io avrei saputo rendere migliore rispondendo loro con una mini guida spirituale personalizzata.

Risultato?

Credo che lo ripeterò. La gratitudine delle persone non è assolutamente misurabile.

 

 

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